Arcadia perduta

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by Chiedi alla Polvere

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Aprile 30, 2018

JANIS JOPLIN: “Me & Bobby McGee” (1970)

But I’d trade all of my tomorrows for one single yesterday – Ma cambierei tutti i miei domani per un solo ieri.

Questa villa, ben protetta da una selva, è stata per due secoli dimora estiva di una nota casata di marchesi del luogo. Sorge poco distante dal centro abitato di un paese dell’entroterra anconetano ed è raggiungibile percorrendo un suggestivo cammino lungo un alberato sentiero di campagna, che affianca per qualche centinaio di metri la strada provinciale che la collega a una nota città. Studi accreditati fanno risalire al 1699 la posa della prima pietra, ma il complesso nella sua interezza si completa solo verso la metà del settecento. La proprietà è composta dall’immobile principale e dagli edifici di servizio, a destinazione essenzialmente agricola, ora impraticabili per crolli, e da una chiesetta, anch’essa impraticabile e con l’ingresso interdetto. Il tutto è completato dalla splendida cornice dell’amplissimo parco, ora in evidente disarmo, che un tempo comprendeva un curato giardino all’italiana con statue e obelischi in pietra e un laghetto artificiale che si dice fosse un tempo popolato da cigni, tanto per far capire che i marchesi, originali proprietari, avevano trovato il modo di perpetuare il mondo arcadico fin nei minimi dettagli. Durante l’ultimo conflitto mondiale la villa ha avuto vicende movimentate, al punto da essere occupata per vari anni, dapprima da parte delle truppe tedesche e in seguito da quelle alleate. Abbandonata almeno dal 1980, per l’estinzione della dinastia proprietaria, la villa, passata in mai pubbliche, è stata fino a dieci anni fa l’incantevole teatro di manifestazioni musicali estive all’aperto che si tenevano nel parco. La villa mostra un corpo voluminoso e, osservandola dalla parte a nord, è dotata di una torretta sulla destra, che le conferisce un tratto anomalo rispetto alle canoniche geometrie costruttive tipiche di queste costruzioni; eppure, nonostante questa particolarità, mantiene proporzioni armoniose e l’impatto visivo è assolutamente coinvolgente. Temevo di poter avere problemi per l’accesso, soprattutto per vecchie voci circolanti su fantomatici custodi croati addetti alla sorveglianza. Mai preoccupazione fu più inutile: sia la selva che il sito erano immersi in una pace totale. Quanto all’accesso, non c’è stato che l’imbarazzo della scelta, poiché cancelli aperti, porte e porticine spalancate e il muro di cinta letteralmente collassato in più punti davano solo l’imbarazzo della scelta per entrare. La villa non ha tradito le aspettative, mostrando una struttura  pressoché intatta, eccetto un muro all’ultimo piano, e si è presentata con un corridoio d’ingresso che mi ha lasciato a bocca aperta per l’eleganza del colonnato e per le volte finemente affrescate. Nella villa non c’è più il mobilio e sono stati asportati i rivestimenti in marmo dei camini, ma non esiste alcun segno di vandalizzazione, né sono presenti i soliti imbrattamenti sui muri, che sono la pressoché naturale conseguenza di tanti abbandoni. Salite le scale, anch’esse in condizioni più che discrete, mi sono trovato al piano nobile, introdotto da un salone anch’esso finemente affrescato, al pari delle stanze laterali. In questo piano si rivelano particolarmente raffinati i decori sottostanti alle finestre, ornate di una fioritura brillante secondo una felice interpretazione del rococò. La stessa ricchezza nei decori non si ripete all’ultimo piano, che ha comunque una sua dignità ed è connotato anch’esso, come verificato nel piano inferiore, da un’infinita serie di bagni, ognuno dei quali ha una sua peculiare forma in accordo con l’importanza della stanza. Insomma, sembra proprio che questi marchesi, a differenza delle dicerie correnti sulla nobiltà locale, avessero un buon rapporto con l’igiene. La visita volge al termine e, nell’andarmene a malincuore dopo aver ammirato tanta eleganza, decido di evitare il comodo cancello della servitù, che avevo utilizzato per entrare, per addentrarmi nella parte anteriore del parco che, stringendosi in un vialetto, mi porta all’ingresso principale, dove scopro la presenza di un varco per passare. Ammetto di avere avvertito un sottile piacere nel farlo. Del resto, un tempo i miei avi sarebbero stati ricevuti da quel passaggio, considerando che mia madre, carte alla mano, si fregiava del titolo di marchesa; peccato che, essendo riferito a una donna, sia andato irrimediabilmente perduto col matrimonio. Questo accade quando si vuol fare un matrimonio d’amore: con l’araldica non si scherza!

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