Picnic in villa

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by Chiedi alla Polvere

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Febbraio 4, 2023

BEACH BOYS: ”Little Honda” (1964)

It’s not a big motorcycle, just a groovy little motorbike./It’s more fun than a barrel of monkeys, that two-wheel ride./We’ll ride on out of the town to anyplace I know you like. – Non è una gran moto, solo un piccola ciclomotore di moda./È più divertente di un barile di scimmie, quel giro su due ruote./Andremo fuori città per andare ovunque so che ti piace.

Il posto visitato stavolta è merito soprattutto del mio compagno di avventure che ha sostituto perfettamente il navigatore, impuntatosi davanti a un casale di nessun pregio. Nonostante googlemaps insistesse a comunicarmi che l’obiettivo fosse già alla mia sinistra, seguendo unicamente le indicazioni del mio sodale, ho imboccato una deviazione per una strada in leggera salita che non pareva promettere alcunché. Dopo due chilometri scarsi e pochi tornanti, ecco materializzarsi l’oggetto del mio desiderio col navigatore che continuava a girare a vuoto, forse offeso per essere stato brutalmente soppiantato da un banale senso di orientamento umano. Il complesso si presenta all’esterno come una sorta di grosso casale agricolo con una prima parte interamente restaurata ad uso abitativo, sebbene chiusa e deserta. Il prato antistante, perfettamente curato, dato che allarma sempre chi fa urbex, mi ha preoccupato solo per poco, giusto il tempo di capire che probabilmente si trattava di una dimora destinata alle vacanze e questo non è il periodo indicato. Fatto sta che ci introduciamo con la massima facilità nella parte abbandonata grazie ai due ingressi, il primo dei quali introduce a una cappella, probabilmente in origine la chiesetta di famiglia, ora spogliata di tutti i riferimenti sacri e utilizzata come discarica occasionale. Il secondo ingresso è quello che introduce al pezzo forte della giornata, ossia un salone in cui il decadimento e una singolare sorpresa mi lasciano sbalordito. Questa parte, ben separata dall’edificio attiguo, ha suggerito i nomi con cui è conosciuto il luogo, a seconda dei gusti indicato come Villa Vespa o Villa Lambretta, con riferimento alla sorpresa cui accennavo poco sopra, ossia un motorino dei primissimi anni sessanta, che spicca su una parete del salone nella sua livrea di un azzurro elettrico, assolutamente originale all’epoca della messa in strada. In realtà, lo scooter in questione era un concorrente agguerrito delle vespe e lambrette scomodate per nominare la villa; infatti, si tratta nientemeno di un rarissimo MotoBi “Picnic” 75cc. (1959-1962) a ruote alte, 4 tempi, 3 marce, a 2 posti con sedile sdoppiato, che raggiungeva la non disprezzabile velocità massima di 70 Km/h. con un consumo medio dichiarato di 58/Km/l. Per chi se ne intende un po’, si tratta di prestazioni di tutto riguardo sia dal lato motoristico che della sicurezza, al punto da giustificare il costo di 138.850 lire, non propriamente popolare (una Fiat 500 del 1960 costava 395.000 lire). Del resto, una pubblicità dell’epoca indicava la Motobi come La moto con eleganza e indubbiamente l’accattivante color azzurro metallizzato del “Picnic” costituiva un altro punto a suo favore. A questo fortunato scooter la casa fece seguire il modello 125 cc. a 2 tempi (1963-1965), ma già mi sono addentrato oltre il tema specifico di questa esplorazione e quindi ritorno alle consuete risultanze urbex. Addentratici nel salone principale, cui fanno da modesto corredo piccole e fatiscenti stanze comunicanti, ne ammiriamo la vertiginosa maestosità con alti soffitti che scoprono in più punti le armature lignee dei solai e del tetto. Le pitture che avvolgono terra e cielo, raffigurano ninfe e imprecisabili divinità classiche intervallate da motivi floreali; quelle non colpite da squarci sono ancora discretamente leggibili e riportano tutte a una sensibilità settecentesca, che probabilmente coincide con la datazione dell’edificio. Purtroppo anche il salone principale si dimostra essere una discarica di utensileria agricola, sia pure con un disordine meno evidente rispetto alle piccole stanze collegate. La raffinatezza delle pitture e degli affreschi mi fa dubitare che l’edificio possa essere stato usato fin dall’origine come fienile o pertinenza ad uso agricolo, come adombrato da altri che hanno avuto modo di visitare il luogo. Molto più verosimilmente un utilizzo del genere può essere iniziato col decadimento della struttura, anche se, nonostante i segni ingiuriosi del tempo, l’antico splendore risalta ancora pur nel decadimento attuale. Le emozioni che questo salone sa suscitare sono davvero eccezionali e la bizzarria del motorino abbandonato è un contrappunto che marca il segno di un’eleganza che sembra essere consapevole dell’amaro destino di tutte le cose. Sostiamo a lungo nel salone, lasciando poco tempo alle piccole stanze collegate, che in realtà non meritano particolari attenzioni. La visita si consuma così in poco più di mezz’ora, quasi interamente dedicata all’incantevole salone centrale, capace di rendere giustizia all’esplorazione. In chiusura, qualche parola sul brano che fa da esergo alla scheda. Il rock, come ben sa chi lo ama, quando parla di motori mostra i muscoli, trattando quasi sempre di hypercar o di rombanti moto dalle cromature lucenti. Non è stato per niente facile trovare un pezzo che trattasse di un motorino, così come mi rendo conto che l’Honda del brano scelto possa essere visto come un potenziale concorrente del ciclomotore abbandonato nella villa, ma tanto, all’epoca dell’uscita della canzone, il “Picnic” 75cc. era già stato pensionato e la MotoBi era confluita nella Benelli e, soprattutto, all’epoca in Italia vigeva un’autarchia nei consumi motoristici assolutamente consolidata. Certo è buffo immaginare l’Honda scorrazzare sulle litoranee californiane fiancheggiando un mare punteggiato dai surfisti, mentre il nostro motorino al massimo si sarà goduto un fattore e consorte che riportavano a casa qualche ortaggio, del pecorino e un ciauscolo, custoditi in un sacchetto fissato al gancio fornito di serie dal “Picnic”. Beh, sul mare non avrei dubbi, ma neanche sulla merenda.

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