La chiesa del cugino

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by Chiedi alla Polvere

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Febbraio 26, 2022

EDDIE VEDDER: “No ceiling” (2007)

Sure as I am breathing, sure as I’m sad/I’ll keep this wisdom in my flesh/I leave here believing more than I had. – Certo come il mio respiro, certo come la mia tristezza,/terrò questa saggezza nella mia carne./Me ne vado di qui credendoci più di prima.

In cauda venenum. È proprio il caso di riesumare questo antico detto latino per illustrare le difficoltà incontrate nel percorso finale per raggiungere l’obiettivo di giornata. La strada sterrata che conduce fino a quasi 700 metri di altezza si trasforma lentamente in poco più di un tratturo impervio e ricco di curve. Incontrare un trattore con rimorchio è una delle disgrazie più grosse che possano capitare in questi frangenti. Ebbene, io l’ho avuta e ho fatto una retromarcia che non sarei più capace di ripetere, guadagnandomi il cenno di ringraziamento del contadino alla guida dell’imponente mezzo agricolo. Del resto, il santo cui è dedicata la chiesa cui sono diretto è Taddeo, il santo degli impossibili, una sorta di versione al maschile di Santa Rita da Cascia. Per quanto mi riguarda, dopo l’incontro col trattore, comincio ad avere anch’io un inizio di venerazione o di rispetto per le qualità di Taddeo, certamente ignote ai più. Ma procediamo con ordine: su Taddeo tornerò dopo. Lasciata l’auto mezza inerpicata su un greppo, m’incammino a piedi verso il colle che lascia intravedere la facciata della chiesa. Si tratta di uno stupendo esempio di primo romanico campestre, dignitosissimo nella sua sobrietà e di grosso impatto visivo. L’edificio è di piccole dimensioni ed è apparentemente ben conservato all’esterno, anche se purtroppo è inaccessibile all’interno. Spiando da una finestrella posta su un lato della facciata, sono riuscito a scattare le poche foto significative degli interni. Le capriate in legno della volta sono quasi interamente crollate e di fatto la chiesa è un guscio vuoto, essendo stati rimossi per tempo e messi al sicuro i pochi elementi di pregio che conteneva, il che mi fa supporre che l’edificio sia già stato consegnato all’oblio. La sua struttura è semplice: perimetro rettangolare, navata unica e abside che si presenta ancora con una buona consistenza muraria. Il resto è lasciato all’immaginazione. Me ne torno indietro con un piccolo bottino fotografico, comunque soddisfatto per aver assaporato dei veri momenti di tranquillità in un luogo magico, silenziosissimo e con una vista superba sulla valle del Tesino, resa con particolare nitidezza dalla limpidissima giornata di sole. E adesso posso saldare il mio debito di riconoscenza col padrone di casa, il buon Giuda Taddeo, che ho scoperto essere uno dei dodici apostoli nonché – udite, udite – il cugino di Gesù Cristo, essendo figlio di una delle tre Marie, quella di Cleofe per la precisione, addossate alla croce durante il calvario. Dopo il tradimento di Giuda, per inciso nome molto comune all’epoca, onde evitare equivoci e malintesi, si preferì utilizzare la sola denominazione di Taddeo per identificare questo discepolo, al fine di evitargli quella damnatio memoriae di cui rimase vittima a lungo. Taddeo si distinse per la predicazione e l’evangelizzazione, essendo dotato di notevoli doti di convincimento e coraggio. Specialmente quest’ultima dote gli fu necessaria quando, dimostrata la falsità dei sacerdoti di un tempio, questi convinsero i fedeli a giustiziarlo. Taddeo subì un feroce martirio e fu preso a mazzate, purtroppo non solo metaforicamente, crudelmente linciato con lance e mazze. Siccome di Taddeo in giro ce ne sono pochissimi perché, diciamola tutta, è un nome piuttosto bruttino, la chiesa cattolica gli ha attribuito poteri speciali, individuandolo come il santo da invocare per i casi disperati e per le cause perse. Se davvero ha questo potere, molto umilmente, gli consiglierei di dedicarsi alla salvezza della deliziosa chiesa nel fermano a lui intitolata che, come causa persa, mi pare abbia oggi tutti i requisiti.

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